Sorseggiando in paludi di velluto, le silllabe pronuciate da chi asseconda vertiginosi imbrogli, s'impigliano in grovigli che, come anemoni aggrappate ad un sospiro, ondeggiano in modo erratico ed irriverente.
Sopravvivono soltanto se raggiungono il silenzio d'un mare senz'acqua.
Lí s'incrociano con fruscii di pantomime assonnate, mentre cercano d'interpretare rovesci inariditi, che catalogano come istrioniche parabole di fango.
Emanano cascami infiorettandoli di sfumature spinate e complesse.
Albergano nell'attutita dimora del languore, per ripararsi da approcci stremanti e profili riflessi in supposizioni sconfinate.
Nell'amalgama sconcertato di asincrone sequele d'istanti tempestosi, mormora l'incedere di ritmiche espansioni di lamenti.
Timidamente, allude a scalpori d'ambiziose densitá, intrigandosi in effusioni eccentuate dalle delizie che pausano pensieri reversibili.
Quando s'appoggia a confini levigati da crepuscoli tentacolari, incenerisce atteggiamenti plasmati, trasformando in consuetudine la sfida ardente dei labirinti di chi perde anche i fiochi riverberi dei suoi titubanti soliloqui.
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