Rifiutano noccioli di pietra, le fauci di felini circospetti, alla ricerca di nutrimento nelle steppe del Serengeti, e solo si schiudono per addentare l'emozione d'un orizzonte infinito.
Allo stesso modo, nel calore salato che evapora dal latte in putrefazione, folle di nomadi e pellegrini annusano la terra bagnata, per riconoscere la provenienza delle cicatrici che ricoprono i corpi di donne sottoposte ad ogni umiliazione.
Si tatuano le caviglie, invece d'imbottire di lana grezza gli stivali d'antilope che sono costretti a calzare.
Camminano uno dietro all'altro, portando a spalla fucili imburrati di miele da vendere al mercato, chiaccherano a gesti, stringendo tra le dita le occhiate brillanti delle acace ed il rumore del frustino, che s'accanisce contro il tronco bianco dell'incenso.
Nella cittá fantasma, i fili elettrici s'attorcigliano in spirali senza senso, ricoprendo di scarabocchi pareti di calce, accovacciate per paura dei venti tropicali.
Chi indossa gonne di pelle di capra a strisce verticali, porta al collo pesantissimi fili di conchiglie gialle e blu; bracciali di rame ed orecchini d'ambra riflettono il colore della crudeltá inferta da frustate sgargianti, almeno fino a quando il distillato di sudore non si tinge del verde brillante con cui il té speziato infonde coraggio ai viandanti.
Da queste distese sconfinate non affiorano ricordi.
Se esiste il tempo, é come la nube bianca che solca il cielo in un istante, o lo scorrere di chi galleggia nella savana, non lasciando orme né tracce del suo passaggio.
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