Quando gli occhi si trasformano in pietre scure e refrattarie, diventa proibitivo interpretarsi, emettere calore cerebrale, gesticolare a mani aperte, dando sfogo a noia o rabbia, non é concesso neppure un modesto gesto di rivalsa, si finisce per appendersi come frutto acerbo, al ramo ciodolante che sporge dal balcone del palazzo in cima alla collina.
Da lí, si scruta attorno come chi si ostenta dal manifesto elettorale affisso all'uscita d'una scuola elementare, oppure si compenetra l'immagine riflessa nello specchio tintinnante appeso accanto alla poltrona della nonna.
Ogni rapporto di potere si fonda sullo sguardo.
Aguzzando la vista, gettando occhiate torve, per non cammminare a tentoni nella notte, ci s'illude d'imboccare la strada che conduce dove l'orlo del precipizio si solleva fino a coprire l'orizzonte.
Ma, invece d'ammirare il paesaggio, ci s'innamora del proprio scempio, e non si riconoscono le orme di chi ci ha preceduto.
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