Durante una qualsiasi esistenza terrena, succede a tutti, prima o poi, d'imbattersi in scalinate bianche di tedio e rimpianti mal tollerati, illuminate da raggi cosmici estremamente obliqui, e di sovrapporvi la propria immagine, accarezzata e respinta, replicando la postura dislettica di chi, per attraversare un fiume in piena, si assoggetta ad alimentare ricordi spaventosi.
Sorge, allora, la tentazione irresistibile di contorcersi la mente, per combaciare la ricerca d'un aroma inconsueto con la confusione provocata dalla vista di scacchiere a cui manchino colori alternati.
Con approssimazione suggestiva ma incoerente, si decide d'accovacciarsi al sommo della piramide, e, tentando di contenere riflessi intravisti specchiandosi in qualcun'altro, ci s'affanna a colpire realtá dense e compatte, che costituiscono memorie aeree, equiparabili a variegati pomeriggi d'autunno.
All'interno di contorni depurati, lacunosi soltanto quando testimoniano mancanza d'autenticitá e tenerezza, il marasma si coagula in tubi d'argento, che trasportano risorse d'energia vitale, provenienti dalla sorgente inesauribile alimentata da sogni e visioni rigogliose.
Ed, anche se riesce difficile crederlo, si delineano i confini del proprio essere, mentre il cielo s'abbassa per sigillarli ed appropriarsene, trasformandoli in una canzone penetrante, unguento balsamico, da applicare a ferite mascherate ed inafferrabili, sussurri ossessionanti emessi degli altoparlanti del tempo.
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