Uscendo improvvisamente da torpore suffragato d'inutili rituali, inventiamoci sconci passi di danza, auspicando all'aria di trasformarsi in macchina che corre, e rincorrendo, da bocca a bocca, la voce del destino.
La malavoglia si smobilita scartando involucri d'accidia imbronciata, e macinando chilometri di tragitto, in compagnia di soffici sfumature di tempo incommensurabile.
Lasciamoci precipitare nel vuoto, fiduciosi che i piedi rimbalzeranno su edifici e notizie prive d'alcuna consistenza.
Pur essendo soltanto componente di rilevante discontinuitá, un palpabile sollievo s'afferma dove il dominio vessatorio consente guizzi di speranza, e scie d'insofferenza si stemperano al cospetto d'insalutati ospiti.
Invece di disperarci constatando che impegno e travaglio non bastano per scavalcarlo, appoggiamoci teneramente al masso che sbarra il cammino.
Non spezziamoci la schiena per tentare di spostarlo.
Per emanare effetti e cicatrici di provata incorruttibilitá, diamo coraggio ad immagini di presagi sgargianti, canticchiamo manciate di languori irresistibili, e, nell'avvicendarsi degli accidenti, proteggiamoci dal flusso usurante dell'esistenza con ornamenti lucidi di fascino e spensierata freschezza.
Se si rimpicciolisce oltre misura, l'onda s'insinua negli anfratti della roccia, minandone, poco a poco, l'eccellenza.
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